Della bellezza della bruttezza, secondo Umberto Eco

Non ho letto molto di Umberto Eco romanziere: mi innamorai della difficoltà di lettura de Il nome della Rosa, all’epoca (quando si è adolescenti, lettori o no, si pensa di aver davanti tutto il tempo del mondo). Ma poi già il secondo non mi conquistò e lasciai perdere. Invece ho letto, e talvolta studiato, saggi, riflessioni e bustine con grande piacere. Eco ha (il presente è d’obbligo, come presenti sono le opere che continuano a vivere oltre l’autore) il dono, la capacità di esser limpido quando parla accademico, e contorto quando inventa, va’ a sapere come mai. Forse la padronanza della strada gli consente di camminare rilassato, mentre nelle storie che racconta si avvoltola e si perde come un viandante troppo curioso in un bosco troppo scuro. O così a me pare.

Quindi, non parlerò qui di Eco romanziere, né di Adso da Melk o Guglielmo da Baskerville. Vorrei invece consigliare la lettura di qualcosa di brutto. E non solo brutto, ma goffo, meschino, talvolta repellente, satanico persino, e stregonesco, grottesco e indecente, fino ad essere mostruoso. La Storia della Bruttezza si apre su un paradosso: tutti sanno definire, nel corso delle epoche, cosa sia la bellezza, quali ne siano i canoni e in che modo essi siano rappresentati dall’uomo. Sembra invece impossibile definire i canoni della bruttezza, se non per opposizione e contrasto, insomma solo come negazione della bellezza.

Nell’articolo della Encyclopédie Universelle relativo alla Bellezza, Voltaire non perde occasione per portare avanti le sue idee sulla tolleranza e sulla relatività di alcuni concetti:

Chiedete a un rospo cosa sia la Bellezza, il Bello, to kalon! Risponderà che è la femmina della sua specie, con due grandi occhi rotondi e sporgenti dalla testolina, un muso largo e piatto, ventre giallo, dorso marrone. […] il bello è relativo e ciò che è decente in Giappone è indecente a Roma, e ciò che è di moda a Parigi non lo è a Pekino. […].

Se la Bellezza è quindi un concetto relativo e fuggevole, anche la Bruttezza lo è: dipende quindi dagli occhi di chi guarda, dall’epoca in cui vive, dalla sua cultura, dalla sua religione persino. In questa mutevolezza, ciò che può incutere terrore e disgusto, come per esempio un cadavere mummificato, può diventare degno di ammirazione ed oggetto di culto tanto da esser considerato”profumato” e “bellissimo”, da toccare e baciare (si pensi alle reliquie sacre o, più di recente, alla generale infatuazione per il corpo di Padre Pio).

Dracula di Bram Stoker

Dracula di Bram Stoker

Il brutto può essere affascinante e perturbante, come dimostra la persistente fascinazione verso ciò che è soprannaturale o irreale, fantastico, per quanto mostruoso: e a questo fascino dell’orrendo dobbiamo grandi classici della letteratura, da Frankenstein a Dracula, dai racconti di Edgar Allan Poe a La metamorfosi di Kafka, senza contare i “cattivi” (lupi, orchi, streghe) delle fiabe per bambini.

In compenso, la storia ci dimostra tristemente come brutto sia considerato in genere il “diverso”: nel XIX secolo con presunta oggettività, nell’Uomo delinquente Cesare Lombroso tenta di dimostrare come anomalie fisiche e criminalità vadano di pari passo; anche la letteratura non sfugge a tali suggestioni:  brutto è  il povero (De Amicis è senza pietà con la figura di Franti), “mostro” da vilipendere il malato o il deforme; essere contro natura l’omosessuale, “disgraziata specie” la prostituta.

Tale affermazione della coincidenza tra bruttezza/diversità e cattiveria si è affermata sempre più nel XX secolo, ed in special modo per giustificare e propagandare l’antisemitismo, fino ad arrivare al concetto di razza sostenuto da Hitler come da Céline, per cui bruttezza fisica e bruttezza morale coincidono. La stessa reazione che troviamo oggi nei confronti dei musulmani-terroristi: l’equazione brutto=cattivo pare essere sempre valida nei nostri pregiudizi comuni.

Storia della bruttezza è un saggio/viaggio nelle culture di ogni tempo, di lettura non complessa, arricchito da testi e immagini, ma soprattutto è un momento di riflessione sui nostri (pre)giudizi, antichi e odierni, su temi sempre attuali come la bellezza e la bruttezza, sempre più configurabile come diversità da quanto è comunemente accettato nella società in cui viviamo. Riflessione che non fa un soldi di danno, non foss’altro che per evitare di fare la figura degli idioti quando invochiamo ruspe e distruzione su ciò che non comprendiamo.

Grazie, Professore.

Storia della Bruttezza, Umberto Eco, 2004 Bompiani

Storia della Bruttezza, Umberto Eco, 2004 Bompiani

Francesca Schipa

 

 

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Categorie: diLetti

Autore:diLetti e Riletti

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