Le librerie che chiudono: riflessioni e proposte – di Ornella Gaudio

Capita spesso che si commenti una notizia tutti insieme e nello stesso momento, portando a una saturazione che abbassa l’attenzione sulla notizia stessa. Si attiva così un circolo vizioso: “più se ne parla meno ci interessa”, a meno che tu non sia un addetto ai lavori.

Ho letto moltissimo in merito alla chiusura di questa o quella libreria in questi giorni, ho ricevuto link, commenti e considerazioni. In ogni articolo però trovavo mancasse qualcosa. Ho letto varie analisi e soluzioni degli effetti, quando invece penso debbano attivarsi correzioni, anche forti, sulle cause.

È un po’ come tentare di raccogliere l’acqua dove il ruscello è già asciutto. Qualcuno afferma che è colpa dei librai, che hanno (o dovrei dire abbiamo) offerte poco accattivanti, non hanno un angolo bar o connessione internet, eccetera. Mi state dicendo che se le librerie chiudono è colpa del libraio?

Ma le proposte di corsi, laboratori, attività con le scuole non portano nessuna idea nuova, lo facciamo già. Aprire un corner bar richiede non soltanto burocrazia in più, ma anche orari lavorativi più impegnativi e personale dedicato. Ibridare non è così semplice, se si è già avuta una attività per conto proprio si hanno le idee più chiare su questo, e poi magari non si vuole. Perché dovremmo? In banca o in lavanderia non trovi l’angolo bar. Magari il libraio vuole essere solo un libraio.

Ma allora non vuoi lavorare” e “allora soccombi alle tecnologie – è il progresso e ti devi adeguare” (sapete quante volte ho letto questi commenti? Piuttosto stupidi tra l’altro. Mi piacerebbe scambiare due parole in merito). Questo progresso non paga IRAP, IRES e tasse varie e porta a ridurre il welfare cui queste tasse sono destinate. Nella sanità ce ne stiamo già accorgendo e nella scuola anche. Il progresso è posti di lavoro, tanti ma tanti.

Eh, ma io pago meno”. Anche questo non è vero, lo stai pagando di più se pensi al famoso prossimo quinquennio. Su cosa risparmiano i siti online? Per quel che riguarda quello più noto basta cercare su google. Faccio solo un’ipotesi: se non eroghi 13ma e 14ma su 5000 dipendenti hai risparmiato? Direi di sì. Se concili con l’Agenzia delle Entrate hai risparmiato? Direi di sì.

Non si potrebbe invece tassare l’acquisto online e destinare quelle entrate a IRAP e IRES? Certo, si potrebbe, e si dovrebbe. E questo non solo per le librerie, ma anche per i gommisti, le cartolerie, i negozi di giocattoli che pagano invece a tassazione piena e bella importante . Il libraio (o qualunque altro commerciante) che guadagnasse bene, potrebbe permettersi un’auto nuova, andrebbe in vacanza in albergo, comprerebbe più vestiti, più scarpe, più cibo E se lo facesse nei negozi di vicinato ne avrebbero un ritorno tutti.

I libri sono un prodotto da trattare diversamente. Non è svendendo la vita del libraio che si fanno quadrare i conti. Perché è disonesto chiedere questo, molto disonesto. Abbiamo tutti gli stessi diritti, pur con il famoso rischio d’impresa (lo cito io per prima così ce lo leviamo dalle scatole): i conti rischiano di non quadrare lo stesso. Dobbiamo fare in modo che quel ruscello porti acqua fino alla foce.schiffrin

Non so se i siti di vendita on line siano i soli responsabili, davvero non ne sono convinta. Penso invece che il settore editoriale non goda di buona salute. Dall’editore fino al libraio il ruscello si prosciuga e le librerie sono proprio la foce asciutta di un settore che non funziona. Ho riflettuto molto su questo dopo aver letto “Il denaro e le paroledi André Schiffrin, editore e saggista di origine francese, cresciuto negli Stati Uniti. In questo suo libro e in “Editoria senza editori” parla dei grandi colossi, dell’abitudine alla lettura, della possibilità di trovare soluzioni che facciano stare bene gli editori come i librai.

I punti che potrebbero portare a una soluzione possono essere solo due:

  1. In primis far stare bene l’intero settore, che possa essere economicamente sano e stabile in modo da non renderlo ricattabile.

  2. Aumentare i lettori, assottigliare insomma quella base della piramide di “non lettori” che qui da noi è davvero troppo ampia.

Procedo con delle idee che potrebbero sviluppare questi due punti.

A Roma e Milano si concentrano la maggior parte degli editori, quelli piccoli e bravi (ma il discorso vale anche a Macerata, Napoli o Pisa). Lavoriamo come esempio sugli editori romani. Ipotizziamo che questi editori possano usare le stanze vuote della Sapienza, di Roma Tre, di Tor Vergata o dell’Inps o del Ministero dello Sviluppo Economico (se parlo di stanze vuote è perché so che ce ne sono tante) .

Si troverebbero a non pagare affitto, luce, gas,acqua, imu, tari, tarsu, telefono mentre in cambio sarebbero direttamente accessibili alle facoltà di lettere, filosofia, lingue, legge o informatica. Immaginate quanto potrebbe essere utile per gli studenti un accesso così diretto. Uno scambio che sarebbe proficuo per tutti.

Ipotizziamo 12 editori romani ospitati in Università.

Ipotizziamo 20.000 € di risparmio annuo per editore sui costi prima indicati: il che porterebbe a 240.000 euro complessivi per anno.

Cosa potrebbero fare gli editori con questo importo? Mandare a quel paese quel sito di vendite on line, tanto per cominciare. Potrebbero reinvestirli, potrebbero non dover inseguire le pubblicazioni, potrebbero usarli per creare un solo sito insieme per la vendita diretta (anche qui si andrebbe a risparmiare: un solo sito – più costoso sicuramente, ma uno e non dodici).

Quando gli editori saranno economicamente sereni, dopo un breve periodo potrebbero pensare di creare un loro centro smistamento e fare a meno della distribuzione. Mantenere un magazziniere o un addetto stampa per ognuno ha un costo. Ipotizzarsi come gruppo consentirebbe di assumere e retribuire congruamente il lavoro svolto.

Anziché affidare al distributore perché non si riesce ad assumere un magazziniere o rinunciare a un bravo addetto stampa perché riceve una proposta più allettante, altrove si potrebbe creare un HUB in una zona industriale (se non avete idea delle attività cessate negli ultimi anni dovreste farvi un giro nelle zone industriali, io soffro sempre a passarci).

Ho scelto Monterotondo. Sarebbe perfetta, a pochi passi dal raccordo e dall’uscita Roma nord e a pochissimi da Amazon (ops, ho detto il nome!).

Gli editori potrebbero assumere 4, 5, 6, 10 magazzinieri e altri 4, 5, 6, 10 addetti per la gestione diretta con le librerie, rinunciare al distributore e pertanto incrementare il proprio margine sulla vendita. Con i soldi risparmiati si potrebbero pagare adeguatamente tutti gli addetti. Cosa cambierebbe? Sarebbe un settore economico sano, consentirebbe prezzi di copertina più bassi. Il prezzo di copertina è spesso citato come elemento del mancato acquisto, nel comune in cui vivo nel 2017 siano stati spesi 8 milioni di euro in gratta e vinci, lotterie, macchinette – ci sono degli alibi che ci diamo, va benissimo così ma…

Un settore sano e ricco non è ricattabile, può spendere, può ragionare su cosa pubblicare senza inseguire i pagamenti, può acquistare diritti, può battere il pugno sul tavolo insomma, potrebbe fare delle campagne importanti sulla lettura ma qui passiamo al punto 2.

Il numero di lettori in Italia è basso, bassissimo. Il numero dei non lettori invece è altissimo, a quel numero generalmente si rinuncia, ma è un errore. fagundes

L’altro giorno mi hanno fatto leggere un post di Igiaba Scego in cui parlava di una telenovela brasiliana, la telenovela delle diciannove di Rede Globo che di solito inchioda davanti alla tv tutto il paese. Cito dal post di Igiaba:

“da quando è cominciata a Luglio 2019 la novela ha citato 51 libri tra classici mondiali e letteratura brasiliana: William Shakespeare, Drummond de Andrade, Clarice Lispector, Lewis Carrol, Fernando Pessoa. In una puntata c’è stato anche un cameo di una scrittrice…non una qualsiasi ma la SUPER MITICA Conceição Evaristo, una scrittrice nera che ha fatto da apripista alla scrittura delle donne nere in Brasile. Insomma la novela ridendo e scherzando, tra un intrigo e un altro, sta rendendo famigliare a molti l’oggetto libro. Una cosa interessante da copiare”.

Sentire Antonio Fagundes che con la sua voce profonda recita la despedida del personaggio Alberto citando il brano di Rubem Braga con lo stesso titolo

“E in mezzo a questa confusione qualcuno è partito senza salutare, è stato triste. Forse se ci fosse stato un saluto sarebbe stato anche più triste. Forse è stato meglio così, una separazione come a volte capita in un ballo di carnevale, una persona si allontana dall’altra”

A me viene voglia di cercare il brano, il libro da cui è tratto. Bisogna far diventare la lettura interessante, di tendenza, cool, fichissima. Si può fare in molti modi anche con spot in tv, sui social.

Investire su questo si deve. Avere addetti felici: editori, librai e tutte le figure intermedie. Si possono attivare anche altri meccanismi sani, per esempio decidendo che biblioteche, enti, possano comprare da librerie di zona o da editori senza ricorrere ad altri canali.

I libri non sono un prodotto come gli altri. Se non si comprende questo è inutile anche parlarne, perché il singolo libraio può davvero fare poco e trovo triste gravarlo di un carico così.

Ornella Gaudio

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Categorie: diGressioni

Autore:diLetti e Riletti

Blog di libri, letture, divagazioni. www.dilettieriletti.wordpress.com

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One Comment su “Le librerie che chiudono: riflessioni e proposte – di Ornella Gaudio”

  1. stefano202111
    24 marzo 2021 a 10:21 #

    Ciao Ornella,

    in Italia abbiamo un problema. La percentuale degli alfabeti funzionali è altissima. Più di una persona su 4 non capisce discorsi di una complessità un po’ superiore a frasi elementari.

    Servirebbe un programma fortissimo orientato alla cultura e alla ricerca.

    Per quanto riguarda le librerie il tuo articolo è molto interessante. Una ricetta facile non esiste ma ognuno di noi può fare qualcosa. Almeno alternare l’acquisto di libri, non solo siti web ma anche la libreria vicino casa.

    grazie per la tua riflessione
    Stefano

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