Cinque domande per Nathalie Bauer – Ragazzi di belle speranze

Qualche anno fa, ho avuto modo di porre alcune domande a Nathalie Bauer – scrittrice e traduttrice in francese di autori come Primo Levi, Natalia Ginzburg, Giovanni Arpino e Mario Soldati- in occasione dell’uscita del suo romanzo Ragazzi di belle speranze, edito da Cavallo di Ferro.

Mi sembra la giornata adatta per ricordare -anche attraverso la narrativa a posteriori – quanto quella carneficina sconvolse l’Europa e modificò il futuro di milioni di giovani ignari e impreparati.

Uno studente in medicina, rampollo di una buona famiglia di provincia, si ritrova come molti altri suoi coetanei strappato alla sua pacifica esistenza dal grande conflitto mondiale. Un tuffo nel fango, nella paura e nel sangue, nudo di fronte alla morte, Raymond Bonnefous trova comunque il modo di sopravvivere all’orrore grazie alla sua capacità di sperare, alla voglia di amare, alla gioventù. Nel racconto del giovanissimo Raymond, che è anche (ma non solo) il nonno della scrittrice, c’è un viaggio dantesco nell’orrore, nell’amicizia e nell’amore, e non mancano una giovane e ridente Beatrice ed un complesso e infelice Virgilio.

– Lei ha detto che alla genesi di questo romanzo c’è l’aver ritrovato casualmente in un armadio le carte che appartenevano a suo nonno. Quanto questo ha cambiato i suoi ricordi e la visione della sua famiglia e della storia del suo Paese?

La scoperta dei documenti ha cambiato in primo luogo la visione che avevo di mio nonno. Avevo conosciuto un uomo anziano (aveva 70 anni alla mia nascita e 86 quando è morto), sicuro di sé, intriso di forza tranquilla, e mi sono trovata davanti un ragazzo indeciso, un giovane di provincia curioso della vita, messo di fronte alla più terribile esperienza che esista. Il fatto che non mi avesse mai parlato né di questa esperienza né della Prima Guerra Mondiale in generale rendeva la cosa ancora più affascinante. La mia famiglia sapeva che la guerra lo aveva profondamente segnato: mia madre bambina lo aveva accompagnato negli anni Trenta a Verdun dove aveva voluto rivedere i campi di battaglia, ma nessuno immaginava davvero ciò che aveva vissuto. Ho anche imparato a conoscere un periodo che in parte ignoravo, nonostante i miei studi di storia, e compreso che quella guerra ha segnato la fine di un mondo, quello del 19° secolo, e l’inizio di un altro, il mondo moderno. Il conflitto ha segnato profondamente le mentalità dei francesi, poiché la maggior parte delle famiglie sono state colpite da almeno un lutto. È difficile configurarsi il mondo di oggi senza la conoscenza di questo terribile evento, fosse anche soltanto per gli equilibri geopolitici che ne sono derivati.

– Le foto, il linguaggio familiare e diretto, i lampi di malinconia e di poesia spontanea che traspaiono dalle parole del protagonista, dalle lettere che scrive portano costantemente alla memoria del lettore che non si tratta solo di un romanzo: la realtà storica è palpabile. Procedendo nella narrazione, quanto si è allontanata dalle testimonianze che ha trovato?

La difficoltà della narrazione consisteva a restare fedele all’aspetto storico del racconto di mio nonno (il rispetto rigoroso di fatti e dettagli è stato per me un omaggio agli uomini che si sono battuti), ma inserendo una trama romanzesca negli spazi bianchi, nei non-detti, per esempio nei periodi di licenza che non erano documentati né nei taccuini né nelle lettere perché li trascorreva con la famiglia. Una sorta di esercizio di equilibrio, dovendo restare in bilico tra realtà e finzione, perché il lettore non potesse distinguere l’una dall’altra, ma contemporaneamente effettuare un lavoro di trasmissione della memoria. Questo spiega perché, tra ricerche e redazione, mi ci sono voluti tre anni per scrivere questo libro.

– Raymond parte in treno verso una guerra che crede e spera breve; noi, scrittore e lettori, sappiamo invece che sarà una carneficina che cambierà per sempre la vita dei singoli e le sorti delle nazioni europee. Tuttavia, tra la morte e l’abbrutimento, diversi incontri che segneranno la vita del protagonista quasi più del conflitto stesso: l’amico Declerq, Morin, Lemoine e soprattutto la bella e impetuosa Zouzou. Più che un resoconto di guerra, questo libro è un riconoscimento della forza insopprimibile della vita e dei sentimenti?

Il mio non è un resoconto della Prima Guerra Mondiale, ma un romanzo sull’amicizia che si svolge durante il conflitto. Gli aspetti che risaltano maggiormente dalle testimonianze sono i rapporti di amicizia e la voglia di vivere. I combattenti, per la maggior parte giovani strappati alle loro abituali occupazioni e alla loro famiglia, volevano fortemente continuare a vivere. Pensavano tutti al “dopo”, al futuro, al momento in cui quella parentesi si sarebbe chiusa, ignorando o tentando di ignorare, che il loro mondo era già irrimediabilmente cambiato, e che dalle sue rovine ne sarebbe nato uno nuovo, con altri valori, altre geografie e un’altra società. Bisogna precisare che avevano della guerra una visione molto diversa dalla nostra, una visione parziale, limitata ai settori in cui si trovavano e alle notizie contenute nei dispacci e nella loro corrispondenza. È l’amicizia, o meglio, la fratellanza che ha permesso loro di resistere, sopravvivendo all’orrore. Per esorcizzare la paura e l’angoscia, per riannodare i fili della loro vita anteriore, o semplicemente perché avevano vent’anni, quelli che potevano si precipitavano ad ogni licenza nei teatri, nei caffè ed in altri luoghi di divertimento.

– Parliamo di Zouzou: lei è l’amicizia che diventa amore, frenato dall’una, irrefrenabile per l’altro; la gelosia mista al rispetto; il desiderio unito al rimpianto. Zouzou è una giovanissima donna che preannuncia la donna contemporanea, delicata e ferrea, che si autodetermina e traccia dei confini attorno a sé. Ci parla della nascita di questo personaggio così accattivante, attuale e a volte scomodo?

Ho inventato Zouzou perché avevo bisogno di un personaggio femminile che traducesse il cambiamento della società europea in quel momento. Se gli uomini assistono impotenti alla fine del vecchio mondo, le donne partecipano alla nascita di quello nuovo: il conflitto offre loro la possibilità non solo di lavorare -per esempio nelle fabbriche di armi- ma anche di fare carriera, cosa fin lì impensabile al di fuori dell’ambiente artistico. Basti pensare a Marie Curie, la cui attività fu così importante perché si recava sul fronte a bordo di uno « studio di radiografia mobile » che aveva progettato, o anche alla grande scrittrice americana Edith Wharton che appare nel romanzo: inviata dalla Croce Rossa per visitare gli ospedali, scriveva anche articoli sulla guerra per i giornali americani, incitando gli Stati Uniti a intervenire.

– E infine, il titolo parla di ragazzi con un grande futuro davanti a sé, un futuro stroncato o nel migliore dei casi pesantemente modificato dagli avvenimenti bellici. Trova esista un parallelo con le generazioni contemporanee che attraversano un mondo in perenne crisi e non avranno forse il futuro che avevamo promesso loro?

Mi è difficile vedere un parallelo con i giovani di oggi perché la generazione decimata durante la Prima Guerra Mondiale si batteva per un ideale -che fosse la patria, il dovere o la pace- mentre i giovani d’oggi attraversano una crisi profondamente legata alla società dei consumi e quindi a valori materiali. Le conseguenze del materialismo che si è diffuso a partire dagli anni ’50 seguendo il modello americano sono tali che i giovani di oggi hanno altre ambizioni: non pensano a sopravvivere, ma a vivere meglio, non all’essere, ma all’avere. L’assenza di futuro, la morte, sono completamente  assenti dal loro orizzonte, a loro tocca in realtà trovare nuove idee per aggirare gli ostacoli scaturiti dalla crisi. È difficile fargliene una colpa, perché sono i prodotti della società che abbiamo creato, ma il senso di questo stato di cose è chiaro. Ad un certo momento il lavoro di memoria e di trasmissione dei valori è fallito. Tocca forse allo scrittore più che a chiunque altro assumere nuovamente questo ruolo.

Nathalie Bauer – Ragazzi di belle speranze – Cavallo di Ferro Ed., 2013

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Categorie: d'Interviste

Autore:diLetti e Riletti

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