
Nel 1939, quando pubblica Chiedi alla polvere, John Fante è un uomo che, come il suo alter ego letterario Bandini, vive in un infimo hotel di Los Angeles, sballottato tra i due poli di attrazione che circolano anche in ogni riga del romanzo: le donne e la letteratura.
Ma il vero vizio di Fante è il giocare d’azzardo con la realtà e con il mondo « normale »: per questa ragione Chiedi alla polvere non si può definire un vero e proprio romanzo autobiografico, nonostante l’uso della prima persona. Quando mi hanno regalato Le storie di Arturo Bandini (nella completa edizione Einaudi) e ho chiesto com’era, mi hanno risposto “leggilo”; a mia volta non potrei far altro che dire “leggetelo”. Scoprirete poi se amare o detestare la sua scrittura. O se detestare Bandini e amare il suo creatore.
Comunque, questo è un buon inizio:
Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d’albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.
Al mattino mi svegliai, decisi che avevo bisogno di un po’ di esercizio fisico e cominciai subito. Feci parecchie flessioni, poi mi lavai i denti. Sentii in bocca il sapore del sangue, vidi che lo spazzolino era colorato di rosa, mi ricordai cosa diceva la pubblicità, e decisi di uscire a prendermi un caffè.
E tu cosa ne pensi?