
Pochi giorni fa, ascoltando Liliana Segre, un’amica e io siamo state raggelate da un pensiero: e quando i testimoni non ci saranno più? Quando a raccontare di leggi razziali, deportazioni, lager e occupazione non ci saranno più quei pochi che ancora portano un tatuaggio sbiadito sul polso o le cicatrici fisiche e morali di un periodo osceno di terrore e morte, allora chi ci crederà? Chi ne parlerà ancora, mentre le voci mai sopite di chi a quel periodo inneggia diventeranno più forti e più credibili?
Leggendo Peccato mortale di Carlo Lucarelli, mi si è formata -forse con eccessiva fiducia- la convinzione che questo compito e quest’onere spetterà ai libri, alla capacità della letteratura di prendere gli eventi storici e tramutarli in cosa viva, in un vaccino inoculabile in chi non ha vissuto i giorni amari del periodo fascista, per fare un esempio.
Lucarelli risale in quest’ultimo romanzo la carriera del commissario De Luca fino ad arrivare alla fonte del suo “peccato mortale”, la scelta che condizionerà in seguito la sua vita, rendendolo ricattabile. Una decisione che apparentemente non è una vera scelta, quanto un lasciarsi trasportare da quello che brucia dentro il commissario, che lo ossessiona: la ricerca della verità, di un colpevole. E quando, pur di trovarlo, dovrà entrare a far parte della temutissima polizia politica, De Luca non esiterà. Nella sua testa non risuonano quasi mai il dubbio, l’incertezza, ma la domanda che -urlata, martellante- soffoca qualunque altro suono, persino le note ballabili dell’amore di Lorenza: Chi è stato? Chi è stato?
Chi è stato a tagliare la testa a due corpi, chi è stato a far trovare la testa di uno, il corpo dell’altro, chi continua a uccidere per nascondere traffici illeciti, chi deruba persone che non possono reagire? Chi sta giocando con lo stesso De Luca ?
La madre di Lorenza, la lucida Poetessa, tenta invano di portare il commissario verso una riflessione: che senso ha accanirsi a cercare il colpevole di due omicidi, per quanto efferati, quando il Paese intero è vittima di un’emorragia quotidiana di vite?
Ma, come un drogato ha bisogno della sua dose, De Luca ha necessità di sapere. E attraversa, cieco, con questa scimmia sulla spalla, un periodo di confusione enorme e capovolgimenti politici epocali: quei quarantacinque giorni tra la caduta di Mussolini e l’armistizio che aprì la strada alla Repubblica di Salò, all’occupazione nazista, ai bombardamenti alleati. Non vede che la sua ricerca di verità lo avvicina al lato più pericoloso e deleterio del fascismo, non vede che Lorenza si allontana, non vuole vedere la sopraffazione e la morte di ebrei, apolidi, comunisti. E quando un farmacista ebreo, ingiustamente privato della sua attività, gli chiede Mi restituiranno la farmacia, ora – quando farmacia significa dignità, libertà e vita- De Luca si trincera e si giustifica con Non so, sono solo un poliziotto.
A voler guardare bene, la vera colpa di De Luca – ci suggerisce il suo autore- non è la sua collaborazione con l’OVRA. Il peccato mortale è essere rimasto indifferente, aver chiuso gli occhi davanti alle leggi razziali, alle liste di nomi di ebrei, non aver voluto vedere che tra coloro che saranno torturati, spariranno, moriranno, ci sono persone con cui ha condiviso le risate, un bagno al fiume o un caffè, la vita quotidiana. Esseri umani bollati come inferiori, non degni di vivere, nomi trascritti in un registro da passare ai boia.
E questo mi riporta ai tempi che Liliana Segre ha vissuto, ma anche ad alcuni discorsi che sentiamo oggi, ad alcuni gesti politici applauditi da molti. E mi riporta a un passaggio di testimone che gli scrittori possono raccogliere -Lucarelli lo fa e io gliene sono profondamente grata- per far diventare il ricordo storia, e la storia narrazione e difesa.
Da chi, da cosa, lo sappiamo bene.

Peccato mortale, Carlo Lucarelli – €17,50, pagg. 247 -Einaudi Stile libero Big, 2018
Francesca Schipa
Ho appena cominciato a leggere la serie del commissario De Luca: ho finito “Carta bianca” e sto leggendo ora “L’estate torbida”. Le atmosfere sono molto più caratterizzate sul periodo fascista di quanto non faccia De Giovanni, ad esempio, col suo commissario Ricciardi. Restituiscono, almeno finora questa è la mia impressione, una chiara idea del clima di confusione ma ancora di arroganza che il regime e le sue espressioni tentavano di imporre in un momento in cui la disfatta era alle porte. Sapere che la serie è andata avanti, al di là dell’ “esercizio universitario” del primo romanzo è una bella notizia, per me neofita della serie: De Luca mi ha già conquistato e Carlo Lucarelli è una sentenza.
Vedrai, Pier. Leggerai e vedrai.