
Passata la tempesta social sui 400 anni dalla morte di William Shakespeare (data peraltro errata, visto che in Inghilterra si usava ancora il calendario giuliano e quindi la morte del commediografo dovrebbe più correttamente esser datata il 3 maggio), torniamo a parlare di libri. E anche di Shakespeare, perché la notizia non è da poco.
La British Library ha digitalizzato in questi giorni un brano tratto da un’opera attribuibile a diversi autori. The Booke of Sir Thomas Moore fu scritto tra il 1596 e il 1604 dal commediografo Anthony Munday, omaggio alla tragica vita del cancelliere di Enrico VIII. Ciò che rende unica l’opera sono tre pagine attribuite a William Shakespeare, che rappresentano il solo esempio di scrittura dalla mano del sommo poeta inglese.
Si tratta di una sorta di inserto commissionato a parte, una scena singola verso la metà della tragedia, in cui Thomas More, in un discorso tenuto durante l’Evil May Day del 1517, calma gli animi dei rivoltosi che vogliono scacciare da Londra lombardi, genovesi, ugonotti francesi.
Stranieri visti come invasori.
Probabilmente dire che Shakespeare è attuale è commento trito, tuttavia le sue opere trattano sempre del cuore dell’uomo, ed è basandosi su questa empatia poetica (oltre che confrontando vocabolario e idee espresse) che gli studiosi possono attribuirgli queste tre pagine -di vera, pressante attualità.
Benché provare che le parole di More siano state davvero scritte da Shakespeare non sia evidente, nella loro viva compassione per la situazione degli oppressi e dei diseredati sembrano prefigurare i grandi drammi legati alla razza come Il Mercante di Venezia e l’Otello –scrive Andrew Dickson della British Library. – Chiunque le abbia scritte aveva orecchio per il modo in cui la retorica può governare la folla…ma anche un occhio acuto per la complessa relazione fra maggioranza e minoranze etniche.
E come sempre accade, ed è il cuore dell’immortalità di Shakespeare, i versi parlano e dominano la folla inferocita, ma parlano anche a noi, oggi, quattrocento anni dopo, puntando il dito contro chi vive, dal comodo rifugio di una casa, il dramma dell’emigrazione come un’invasione.
Immaginate allora di vedere gli stranieri derelitti,
coi bambini in spalla, e i poveri bagagli
arrancare verso i porti e le coste in cerca di trasporto,
e che voi vi atteggiate a re dei vostri desideri
– l’autorità messa a tacere dal vostro vociare alterato –
e ve ne possiate stare tutti tronfi nella gorgiera della vostra presunzione.
Che avrete ottenuto? Ve lo dico io: avrete insegnato a tutti
che a prevalere devono essere l’insolenza e la mano pesante.
Vorreste abbattere gli stranieri,
ucciderli, tagliar loro la gola, prendere le loro case
e tenere al guinzaglio la maestà della legge
per incitarla come fosse un mastino. Ahimè, ahimè!
Diciamo adesso che il Re,
misericordioso verso gli aggressori pentiti,
dovesse limitarsi, riguardo alla vostra gravissima trasgressione,
a bandirvi, dov’è che andreste? Che sia in Francia o Fiandra,
in qualsiasi provincia germanica, in Spagna o Portogallo,
anzi, ovunque non rassomigli all’Inghilterra,
orbene, vi trovereste per forza ad essere degli stranieri.
Vi piacerebbe allora trovare una nazione d’indole così barbara
che, in un’esplosione di violenza e di odio,
non vi conceda un posto sulla terra,
affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole,
vi scacci come cani, quasi non foste figli e opera di Dio,
o che gli elementi non siano tutti appropriati al vostro benessere,
ma appartenessero solo a loro? Che ne pensereste
di essere trattati così? Questo è quel che capita agli stranieri,
e questa è la vostra disumanità da senzadio.
E tu cosa ne pensi?