The last blues

Solo Bessie mi ha mostrato l’aria e come fare per riempirla.

J. Joplin

 

La porta si era chiusa appena in tempo: Bessie sentì il bicchiere fracassarsi sul legno insieme al grido rabbioso di Ruth. Nel locale regnò per un istante un silenzio attonito, poi scoppiò un boato di ilarità. Anche lei fu scossa da una risata bassa e sussultante, che si interruppe perché perse per un momento l’equilibrio: ho bevuto più del solito, pensò. E rise ancora, barcollando verso la macchina in moto già da un pezzo. Il suo “solito” era già una dose da far stramazzare un cavallo, ed era il solito ogni santa notte. Arrivava in qualunque locale già ubriaca, beveva prima di cantare e continuava a bere dopo. Gin scadente e forte, roba da negri in un posto da negri. L’imperatrice di una massa di straccioni ubriachi, si disse. Spalancò ghignando lo sportello e Richard si scosse dal torpore ottuso dell’alcol.

Andiamo, Ma’am?

Ebbe un gesto goffo che voleva essere una carezza, col solo risultato di graffiarle una guancia.

Bessie si voltò di scatto: avrebbe voluto mandarlo al diavolo, ma si limitò a spingerlo via. Richard era gentile, il solo che potesse considerare un amico.  Il suo amico. E sopportava tutto.

Si sforzò di sorridergli, poi girò il viso gonfio verso il finestrino. Il motore della vecchia Packard russava indifferente.

Iniziò a canticchiare senza accorgersene

Quando sono sbronza

non c’è nulla che non farei

Fammi il pieno di liquore

e vedrai che sarò carina con te

La voce, ombra e luce,  saturava l’abitacolo. Richard la osservò di sbieco,  poi riportò lo sguardo sulla strada che portava verso la route 61: alberi, cespugli, alberi e la luce della luna che filtrava in macchie irregolari sul paesaggio abbandonato.

Il canto si fermò su un lungo vibrato, quasi un singhiozzo, e il mondo sembrò perdere vita. Anche Bessie era inerte, il viso schiacciato contro il vetro.

Ma appena Richard le toccò la spalla, lo respinse.

Lasciami stare, non ho voglia.

Non ho voglia.

Ma io ho voglia, aveva detto Bessie, spingendo la piccola Ollie nel guardaroba. Le girava intorno col culetto sodo e gli occhi languidi da settimane, quella puttanella. Io ho voglia, e le aveva infilato la mano tra le gambe, cercandole la bocca.

Così.

Le labbra si erano socchiuse insieme alle gambe e Bessie aveva pensato con trionfo

Oh, anche lei

proprio nel momento in cui Ruth si era precipitata nello stanzino e aveva afferrato Ollie per i capelli, trascinandola fuori sbraitante e mezza nuda in un marasma di soprabiti e cappelli.

Il Pigfoot sembrò esplodere, mentre le due rivali si accapigliavano tra i tavoli, ma Bessie prese dal bancone un’altra bottiglia e uscì. Avrebbe voluto bere fino a dissolversi nel gin, dimenticando vita e storie e nomi,  ma Ruth aveva iniziato a urlare

Vieni qui, Bessie Smith, Bessieeeeee…

Bessie…?

Bessie, apri il finestrino

Povero Richard, povero caro stupido Richard. Ma abbassò il vetro, il viso proteso a ingoiare boccate d’aria fredda. I sussulti della Packard le davano la nausea e Bessie schiuse gli occhi a fatica: le lame di luce dei fari tagliavano spicchi di asfalto deserto. Solo due puntini rossi brillavano lontani, dritti davanti a loro. Quando la luna sbucava dalle nuvole rivelava le argentee braccia sinuose del grande padre Mississippi, steso lungo la strada.

Chiaro di luna del sud,

sponda dello Swanee

Sono ancora una volta diretta verso casa

verso la mia casa sul delta del Mississippi

Nel sud c’è un posto con un grande giardino

che tu ci creda o no

io sento quella brezza che mi sussurra

Dai, torna da me…

La voce dondolava in spire molli, sensuali, diventava giardino accogliente, brezza fresca e acqua, acqua molle, fangosa, che avvolgeva Richard con lunghe dita, afferrandogli il basso ventre e la nuca.

I globi rossi si avvicinavano in quella malìa densa di suoni e notte.

Gli occhi chiusi di Bessie si muovevano a tentoni in un mondo grigio e fluido, un fiume immenso che trascinava a fondo amori e miserie, successi, tendoni rattoppati e bar, whisky e fumo, ancora più a fondo, in un gorgogliare blu di tristezza.

La route 61 si dissolse negli occhi imbambolati di Richard.

Dai, torna da me

Torna

Bessie!

Il grido e il freno meccanico sulle ruote si accordarono su un acuto disperato; come la mano di un chitarrista armata di un collo di bottiglia la Packard eseguì un lunghissimo slide sull’unica corda della linea di mezzeria.

Le ultime note si frantumarono in schegge di vetro e ossa, mentre le sfere rosse -enormi, ora- abbagliavano Bessie, sola su un palcoscenico deserto.

 

A Bessie Smith, smarrita nel nulla vicino a Clarksdale, 27 settembre 1937

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Categorie: d'Inediti

Autore:diLetti e Riletti

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One Comment su “The last blues”

  1. 19 marzo 2015 a 17:39 #

    echi d’una americanitudine d’altri tempi, rievocata con maestria, sulla strada. sullo sfondo, la scrittura vibra di blues d’annata e gli inserti lirici (sono davvero testi di canzoni della Smith?) conferiscono il giusto pathos al dramma fatto rivivere a tentoni. particolari i fanali del mezzo contro cui, credo di capire, si schianta l’auto di Bessie: occhi rossi iniettati tanto di lacrime quanto di rabbia, che paiono appartenere a un essere mostruoso (forse la vita) che in spire molli, sensuali, gorgoglia ubriaco nell’acqua fangosa trascinandosi dietro amori e miserie. altro bel racconto.

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