Paura

La donna ha iniziato a fatica. È magra, consumata, un viso desertico, senza sangue, senza linfa. Non so cosa fare, faccio fatica ad ascoltarla, devo ascoltarla. Vorrei farmi sostituire, ma chi vorrebbe stare qui, in questa stanza, al mio posto? La lascio parlare, il mio silenzio forse sembra comprensione, ma una parte di me cerca la fuga.

L’uomo mi guarda a fatica, abbassa gli occhi sui fogli, poi li fissa sopra la mia spalla. Mi dispiace per lui. Cerco di raccogliere i pensieri, ma ho bisogno di tempo per trovare le parole…cosa vuole che sia qualche minuto, ho una vita davanti. Ho una vita, ora, e non ho paura. Non più.

Ha paura? mi ha chiesto.

Ha paura? gli chiedo.

Sembra così spaventato, e io lo so cosa significa. Ma è assurdo, non gli farei mai del male. Ora vuole che gli racconti, anche se la sua faccia sembra chiedermi di non dirgli nulla.

Le facce dicono più di quanto dovrebbero, non hanno vergogna né paura, e quella di Antonio mi ha raccontato per filo e per segno cosa aveva in mente. Ho provato a parlarne ad alcuni amici, ma mi hanno risposto che poi sarebbe passato, ci voleva tempo, si trattava per lui di accettare la situazione. Mia madre mi sconsigliava di fare altro, per non esasperarlo. E io non ho fatto nulla: quando mi rovesciava addosso fiumi di insulti, lo ascoltavo; quando mi spingeva contro il muro, abbassavo la testa e dicevo calmati, calmati. Piano, per non innervosirlo.

D’altronde lo capivo, era ferito, aveva bisogno di me, non poteva vivere senza di me. Però io non potevo più vivere con lui. Non era nemmeno vivere, alla fine.

Vede, Antonio era un tipo così, all’antica, voleva tornare a casa, trovare il piatto a tavola, la casa in ordine. Lo capivo, eh. E ci ho provato, per anni ci ho provato; ma poi in fabbrica mi hanno cambiato i turni. Credo che i problemi siano nati lì. Sì, e poi gli dava fastidio anche che mi avessero promossa. Guadagnavo più di lui, e questo non poteva tollerarlo. Insomma, era il maschio di casa, era giusto che fosse lui a mantenere la famiglia. Mi accusava di fare cose con il capo reparto, insomma ha capito, no? Una come me che portava a casa tutti quei soldi…sono iniziate lì le botte. No, non era un tipo violento, davvero. Solo che perdeva la pazienza, ogni tanto. Era colpa mia, diceva. Sono fatta apposta per chiamare gli schiaffi. Non erano solo schiaffi, è vero. Una volta, una volta, ha usato il bastone della scopa. E non solo per colpirmi. Quella volta sono finita in ospedale, ma è stata colpa mia, non volevo… insomma, ha capito no? Ero stanca, il turno di notte è massacrante. La ginecologa durante la medicazione mi ha chiesto se avessi bisogno di aiuto, ma Antonio era lì, mi ha stretto forte la mano, le ha detto di farsi i fatti suoi, erano cose tra marito e moglie. Non avevo bisogno di niente, solo di una bella ripassata, ogni tanto. Questo me lo ha spiegato lui, dopo.

Doveva sempre spiegarmi le cose della vita, perché non so mai come comportarmi. Da questo capivo che lui ci teneva a me, e non dovevo arrabbiarmi se a volte usava le maniere forti per farmele entrare in testa: era colpa mia, in fin dei conti. Le bambine, dice? No, no, per carità, Antonio era un bravo papà, un po’ severo a volte: aveva da ridire su alcuni vestiti, su alcune amichette, anche sulle maestre, allora erano discussioni e qualche schiaffo me lo prendevo sempre. Meglio a me che a loro, mi dicevo io. Sì, alle bambine non piaceva vedermi piangere, ma ormai capivano dal tono della voce quando il papà doveva spiegarmi, e si chiudevano in camera. Con loro era bravissimo. Bravissimo. E io di notte piangevo, ma ero contenta che a loro non succedesse niente.

Ma poi un giorno, un giorno un’amica al lavoro mi ha chiesto dei lividi, Antonio ci era andato pesante, avevo la faccia gonfia e il trucco sul collo se n’era andato; che dovevo fare? ho negato, ma lei ha insistito che non era giusto, e l’idea che non fosse giusto, quella sì, mi è entrata nella testa senza neanche uno schiaffo e non ne usciva più. Mi scoppiava la testa di questo pensiero, a volte, e dovevo stringere le labbra per non gridare, o strapparmi i capelli per darmi sollievo. Non era giusto.

Alla fine ho pensato che forse, anche se non capisco bene le cose della vita, forse potevo stare meglio da sola, con le bambine. Potevo vivere senza di lui. È sbagliato? Lei è un uomo, mi dica, è sbagliato? Per me è stato come accendere la luce in una stanza e scoprire che dove pensavo di aver pulito, tenuto in ordine, in realtà c’erano ragnatele e sporcizia, mobili sfondati. Questo mi ha fatto male. Molto più male delle botte che ho preso quando gli ho detto che non volevo più stare con lui, che avrei chiesto la separazione.

È stato a quel punto che gliel’ho letto sulla faccia, che si è accartocciata un po’, come il muso di un cane. Ma poi ha avuto un sorriso strano che gli ha scritto negli occhi quello che voleva fare. Non potevo permetterglielo, capisce? Lui aveva una pistola perché faceva la guardia giurata, prima che lo licenziassero, Ce l’aveva perché aveva fatto denuncia di smarrimento. La teneva sull’armadio, la puliva, la caricava. Una volta ha fatto finta di spararmi, e io, scema, mi sono così spaventata che mi son fatta pipì addosso. Questo era prima. Dopo, ho capito che l’avrebbe fatto. Fatto davvero.

Uccidermi, intendo.

Allora mi sono decisa. È stato abbastanza facile, a quel punto, sa? Mi è bastato aggiungere al minestrone tutta la boccetta delle gocce che mi avevano prescritto perché non dormivo. E ho aspettato. Avevo un po’ di sonno anch’io, ma ero stata attenta a mangiare poco, tanto la gola mi faceva ancora male da quanto me l’aveva stretta.

Ho aspettato lavando i piatti, mettendo in ordine la cucina per tenermi sveglia. Ho preso le bambine in braccio, una alla volta, le ho messe a letto, pettinate, vestite per bene. Le mie bamboline.

Poi ho preso la pistola di Antonio e ho fatto quello che dovevo.

L’uomo mi guarda a fatica, abbassa gli occhi sui fogli, poi mi fissa, sembra voglia piangere. Ingoia la saliva e mi chiede.

Le ho chiesto: Ma le bambine…perché?

Le bambine. Non potevo lasciarle sole, mi capisce? Il padre ucciso e io incarcerata. Come potevano capire, perdonarmi? Ma non hanno sentito nulla, glielo giuro. Non hanno mai avuto paura. E io nemmeno. Non più.

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Categorie: d'Inediti

Autore:diLetti e Riletti

Blog di libri, letture, divagazioni. www.dilettieriletti.wordpress.com

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