
Come ben sa chi mi conosce, amo i racconti (forma letteraria così poco apprezzata e letta in Italia) almeno quanto amo Stephen King. Così, quando in marzo è stato pubblicato Il bazar dei brutti sogni –The Bazaar of Bad Dreams ovviamente ero in brodo di giuggiole. Ma questa volta ho voluto, a mio rischio e pericolo, assaggiare la scrittura kinghiana al naturale, diciamo così, leggendo la raccolta in versione originale. Buona parte dei venti racconti contenuti sono già stati pubblicati in precedenza, ma io non ne conoscevo nessuno; e qui parlerò ovviamente solo di alcuni che mi hanno colpito.
Inizierei affermando che, a mio personalissimo parere, zio Steve sente l’età: e non perché la scrittura sia “stanca”, anzi. Lui stesso afferma
The body weakens, but the words never do.
E le sue parole di sicuro non sono invecchiate. Intendo invece l’aleggiare di una certa propensione alla riflessione, un atteggiamento pensoso sulla vita e sulla morte (e sulla vita dopo la morte) che, lungi dal rendere la sua scrittura più debole, ne aumenta il valore empatico.
Di certo le vecchie atmosfere rivivono in alcuni dei suoi racconti, soprattutto quando si narra di poteri soprannaturali, come quello svelato dal vecchio giudice in La duna – The Dune al proprio curatore testamentario, narrazione pacata che si chiude su un’unica frase dal ghigno malvagio; o dal giornalista che può pubblicare online necrologi perfidi e fittizi che si rivelano letali in Io seppellisco i vivi – Obits. Un tocco di Asimov in chiave Amazon si legge in UR, dove un insegnante e aspirante scrittore riceve l’e-reader che tutti noi vorremmo avere (o forse no), portale verso milioni di opere pubblicate in altri mondi dove gli scrittori hanno vissuto altre vite (pare che questo racconto contenga numerosi riferimenti alla serie de La Torre Nera, che però non ho ancora letto).
L’agonia del dolore prende (orribile) vita nelle fattezze di un demone (Il piccolo dio verde del dolore – The Little Green God of Agony) e punisce un’infermiera troppo razionale e distante dall’insopportabile paziente, mentre ne Il bambino cattivo – Bad Little Kid un rosso malpelo che perseguita un uomo, guastandone la vita fino a renderlo un assassino, punisce l’incredulo avvocato che lo difende.
In Miglio 81 – Mile 81 torna il tema dell’automobile-killer già esaminato nella terribile Christine, e torna anche il King che riesce a ritrarre bambini come nessun altro: come in It, l’innocenza salva se stessa, ma fatevelo bastare per tutto il libro, non si ripeterà.
Come accade ne Il miglio verde, in Una morte – A Death il mattatore si interroga sulla pena di morte, sempre mischiando le carte: il condannato è innocente? Colpevole? Innocente? Gli uomini che lo condannano sono nel giusto o stanno per commettere un omicidio insensato? La risposta finale non riesce a dare sollievo, come non ne dà la pena capitale stessa.
La mera stupidità che porta alla rovina in Fuochi d’artificio ubriachi – Drunken Fireworks (racconto tra i pochi non all’altezza, ma che dipinge con efficacia l’ambiente sordido in cui spesso King ambienta le proprie storie), diventa stupida cattiveria in Morale – Morality, dove la richiesta di commettere un piccolo crimine in cambio di soldi porta al disgregamento di chi vende la propria integrità: qui però l’autore traccia il deterioramento morale con mano magistrale.
Breve e intenso, Tuono estivo – Summer Thunder, che conclude in bellezza la raccolta, è il meraviglioso, struggente canto del cigno di un mondo in agonia: se pensate, come ho fatto io leggendolo, che gli echi di The Stand siano troppo evidenti, beh…andate avanti, fidatevi.
Ci sono racconti, in questa antologia, che non mi hanno convinta (per carità, scritti come al solito egregiamente, ma senza “denti”): tra questi il già citato Drunken Fireworks o Blocco Billy – Blockade Billy (troppo baseball, e io sono più che ignorante in materia). E non sono neanche persuasa della necessità delle prefazioni ad ogni singolo racconto: a volte scatta il desiderio di interromperlo dicendo “Sì, vabbe’, ma il racconto quando arriva?”. Questo nonostante io ami sentirlo chiacchierare sul come e dove e perché sono nate alcune sue storie; il troppo, come si sa, stroppia persino King.
Ma alla fine, come sempre, l’incantesimo funziona: zio Steve prende per mano il lettore e lo trascina al buio, nel cuore di un incubo, fino a fargli sentire l’aspro sapore ferroso della paura, fino a fargli annusare il sangue ancora caldo; poi lo accompagna gentilmente verso l’uscita del tunnel degli orrori. E quando la tensione sta per calare ed il lettore è disarmato, la porta si schiude sulla comprensione: da soli, il vero incubo ha inizio.
Non l’ho ancora letto ma mi aspetto tanto, sia dalle recensioni che dal fatto che comunque è Stephen King! 😉
Una garanzia! 🙂