Note a margine de La banda degli amanti, di Massimo Carlotto

 

 

La mia non vuol essere una recensione, ma solo una serie di riflessioni a seguito di un incontro con Massimo Carlotto e il suo Alligatore, qualche sera fa.

Tutti noi viviamo chiusi nel nostro piccolo mondo: gli incontri e gli scontri possono essere inclusivi, nel momento in cui la nostra bolla ne ingloba un’altra o da essa viene inglobata, o esclusivi quando ci si scivola accanto senza infrangersi, ignorandosi. Nell’universo dell’Alligatore, sembra che chiunque escluda l’altro, sfiorando l’essenza altrui senza entrarvi davvero: lo stesso protagonista  ha trascorso questi vent’anni racchiuso nella sua bolla che include il suo legame col passato (Beniamino Rossini) e il suo tentativo di aprirsi al futuro (Max la Memoria).

È un vivere malinconico e assorto, pur nelle sue complicazioni, un vivere solitario in tre, pur distanti fisicamente. Neanche l’amore di una donna, passeggero o di una vita, riesce ad infrangere l’alone che circonda questi personaggi. Solo nei momenti della violenza l’universo burattiano va in frantumi: così accade di fronte alla perdita, alla morte, alla sanguinosa soluzione di una faida.

E accade anche quando Marco Buratti incontra il suo doppio: Giorgio Pellegrini, già protagonista di Arrivederci amore, ciao e di Alla fine di un giorno noioso. Partiti entrambi dallo stesso “terreno”, la militanza politica di sinistra, l’uno ha scelto la via del tradimento, della mistificazione e della sopraffazione, l’altro quella del silenzio, dell’esclusione e della smania di giustizia. L’uno ha bisogno di altri esseri umani da manipolare, dominare e distruggere, soprattutto donne, ma ha anche riversato la sua tendenza sadica nel campo della politica, traendone ogni possibile vantaggio a scapito altrui. L’altro non riesce a farsi carico neanche di se stesso, vorrebbe l’amore ma non riesce a concretizzarlo in una persona, in una storia, antepone la salvaguardia del suo mondo al denaro, porta dentro una tensione verso il riequilibrio, verso la verità, residuo dell’ingiustizia subita anni prima. L’uno si è insediato in un territorio scavandoci dentro come un parassita della farina, mangiando e avvelenando il suo stesso cibo, l’altro ha cercato rifugio in un altrove che non è provincia e non è Paese, tra Francia e Libano, tra Cagliari e Padova, senza trovarlo mai.

L’incontro forzato tra i due, tra quello che i due sono diventati nei vent’anni trascorsi, tra quello che sarebbero potuti essere e non sono, non poteva che esser carico di aperta ostilità e preludere ad una sconfitta, sia pure temporanea, di una delle due facce di una stessa medaglia, una medaglia coniata nel piombo degli anni 70.

Dietro le figure di Pellegrini e Buratti, la società italiana odierna mostra, sotto il vestito fashion, la sottoveste sbrindellata: un territorio devastato, una criminalità diffusa e l’irreparabile perdita di valori e di fiducia nel futuro.

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Categorie: diLetti

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  1. Blues per cuori solitari e vecchie puttane, di Massimo Carlotto | diLetti e riLetti - 8 ottobre 2017

    […] vecchie amicizie e incontriamo nuovi cattivi. Ma, come già accaduto durante la lettura de La banda degli amanti, al di là della storia in sé – complessa e spaziante tra « male vite » di luoghi e di […]

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