
Confesso: scrivo. Quel che è peggio, mi piace farlo.
Ma da qui a dire che la scrittura sia un piacere, andiamoci piano. Scrivere è un piacere fino a che non ci si mette in testa di volerlo fare perché predestinati all’immortalità. Da quel punto in poi, amici cari, è lavoro.
Sono d’accordo, non è esattamente questo che pensa il resto del mondo attorno a me, ma mettere insieme un testo, un racconto, un romanzo sia pur breve o un articolo è un lavoraccio che richiede molte ore inquiete e olio di gomito a litri. Bisogna costruire una trama solida, creare dei personaggi quanto meno convincenti, correggere, eliminare le ripetizioni e il superfluo (come l’avverbio che ho appena cancellato), e soprattutto mantenere una coerenza linguistica e di stile. Insomma, è un da fare senza fine.
Capita, per esempio, che l’ometto serafico e tranquillo che avevo in mente all’inizio della storia ad un tratto decida di sbarellare come la graziosa Annie quando capisce che Misery deve morire: ciò mi porta non solo a sospettare di avere tendenze schizoidi, sed etiam di non riuscire a controllare l’evoluzione caratteriale dei miei personaggi, i quali tendono a finire dove pare a loro. L’unico, misero vantaggio è il non dover andare a ripescarli in qualche commissariato dietro cauzione (anche se non metterei la mano sul fuoco che un giorno non possa accadere).
Nonostante il sacro fuoco della creazione letteraria arda alto, tuttavia, mi capita anche di restare all’addiaccio: e mentre su New York calano le prime ombre della sera (cit.) io meschina mi ritrovo preda della sindrome da pagina bianca, già mio incubo al liceo durante i compiti in classe. Niente da scrivere, vuoto assoluto accompagnato dalla subitanea capacità cerebrale di un protozoo.
Dev’essere una situazione assai comune se molti maestri della scrittura, da Flaubert a Gide, da Virginia Woolf a Faulkner, hanno fornito fior di consigli su come superare i momenti di panne; consigli di grande levatura, mirati e tecnici o persino poetici. Consentitemi però di fornire i miei -molto terra terra- in soccorso di chi come me si trovi in simili ambasce.
- Passate ad altro: chiudete il documento e mandatelo mentalmente al diavolo. Preparate una peperonata e/o andate a trovare zia Adelina. Forse non servirà a darvi nuove idee, ma vi eviterà di restare ore a maledire il momento in cui avete deciso di vivere (simbolicamente e non economicamente parlando) di scrittura. Inoltre zia Adelina sarà entusiasta, soprattutto della peperonata.
- Fate una cosa del tutto inutile, staccate ogni connessione cerebrale e passatevi lo smalto o, meglio ancora, guardate la tv. Tra chef isterici, dispensatori di consigli vestimentari e spose in carne, tutto ciò che scriverete in seguito vi sembrerà degno del Pulitzer.
- Non (ri)leggete nulla del vostro autore preferito, evitate come la peste i grandi classici: il passo dalla pagina bianca alla depressione nera è brevissimo. Prendete un libro di Pupo o di Barbara D’Urso (se non avete mai considerato di farlo, compratelo a scopo terapeutico), e sfogliandolo pensate fortemente “posso farcela anch’io”.
- Chiedete ad un conoscente di leggere ad alta voce quello che avete scritto. Potrete iniziare a sperare di aver deposto qualcosa di sensato se il malcapitato resta serio (preoccupatevi tuttavia se resta “troppo” serio). Potrete tuttavia anche decidere di dar fuoco al manoscritto seduta stante; assicuratevi che il conoscente non lo abbia ancora in mano.
- Per provare “dal vivo” emozioni da riversare su carta, provate ad arrabbiarvi contro qualcuno. Se non disponete di materiale umano, basterà tornare ad accendere il televisore, troverete sempre stoffa per le vostre forbici.
Insomma, queste sono le basi solide per diventare uno scrittore felice e senza sindromi di sorta, e abbiate fede, i miei consigli funzionano davvero. Non foss’altro perché quando mi sono seduta davanti al computer poco fa non sapevo proprio cosa scrivere.
posa la penna e via con la zappa! ecco l’unico consiglio valido! si vada!
Questo suggerimento era sotteso a tutto il discorso. Ma purtroppo siamo tutti presi dal sacro furore creativo e poco interessati all’agricoltura. 😀
male! male! pensate al grano quotidiano, invece che alle farneticherie! marrani!