
Gli sarebbe piaciuto ricominciare da capo, se solo avesse avuto un’altra piccola possibilità. E allora sì che avrebbe fatto le cose per bene. Non si sarebbe cacciato in quel guaio. Non si sarebbe cacciato neanche in quello schifo di vita. Perché a volte si pensa di essere eterni, di avere un’infinità di possibilità, di avere un sacco di tempo per sbagliare, correggersi, ricadere e poi alzarsi. Ma non è così. Alla fine ti trovi con la schiena sforacchiata dai proiettili e una manciata di minuti di fronte a te. E non sai neanche bene cosa pensare.
Anche gli eroi negativi hanno rimpianti. Lo sanno bene i protagonisti di Una notte sbagliata, coattivamente uniti, nella notte di Capodanno, da un destino simile. Meritato? Cercato? Forse: di certo non sperato.
Sotto l’inconcludente comando di Riccioletto, un malvivente di basso livello, prende forma uno strano commando: Skizzo -al secolo Francesco Persico, un tossico senza fissa dimora, Igor Padorin, ex-affiliato alla mafia siberiana, e i fratelli Tiziano e Alessandro Fabbri, due giovani naziskin, vengono gettati sul tavoliere di un gioco di cui non conoscono le regole, pedine di un’operazione sconclusionata che ritengono essere un “semplice” avvertimento.
L’inganno spietato nasconde in realtà il tentativo di riorganizzazione della cupola che incombe su Roma nordovest, spartendosi settori e proventi di molteplici attività criminose. Alle spalle di questi kamikaze senza volerlo, tutti sacrificabili per il potere, i malavitosi romani intrecciano e sciolgono accordi con le organizzazioni calabresi e napoletane, quasi ignari della presenza sempre più ingombrante e potente della mafia cinese, sottostimata sia dalle forze dell’ordine sia dalla malavita.
Come ruscelli gonfi di scorie, le storie di ognuno dei partecipanti all’operazione –storie che poco hanno in comune, se non appunto le possibilità perdute- confluiscono nella notte “sbagliata” che costerà loro tutto, e trascinerà verso un epilogo sanguinoso criminali e innocenti.
Gianluca Ales è un giornalista di grande esperienza, ma è soprattutto un ottimo narratore: fin dalle prime pagine di questo noir cattura l’attenzione, tenendola sempre desta per ben seicento pagine, stimolando anzi quella “fame” del lettore che lo spinge a non mollare il libro (se non costretto dall’ora tarda). La fatale giornata del 31 dicembre –frammentata in un mosaico di minuti e situazioni- forma via via un disegno più definito, seppure orribile per chi, leggendo, presagisce il precipizio, accorgendosi – con un certo raccapriccio- di essersi affezionato ad alcuni dei protagonisti di questa storia sbagliata.
E, tornando ai rimpianti degli eroi anche –soprattutto, direi- negativi, il lettore è spinto a chiedersi cosa sarebbe stato di quel tizio se avesse aperto l’officina che sognava, o di quell’altro se non si fosse ficcato in quel giro di spaccio. Insieme al ritratto di una Roma opprimente e fasulla, afflitta da una lebbra neanche troppo nascosta dagli abiti sgargianti con cui si agghinda, sotto lo sguardo indifferente dei più, le possibilità andate perdute senza ritorno gravano su tutta la narrazione. Dietro l’abito del delinquente comune, l’uomo che in un certo momento della vita ha sbagliato qualcosa raccoglie un frutto amaro, ed è l’ultimo.
C’è quel primo ricordo, di quando eri così piccolo che tutto sembrava enorme e tua madre tendeva la braccia, incoraggiandoti a venire avanti, a fare i primi passi nel mondo. In quel momento eri felice e tutto sembrava possibile. Il suo sorriso era una carezza che ti faceva sentire caldo, sicuro, anche in quella straordinaria avventura.
Ooooooops! Caduto! Alzati che non è niente.
Sì.
Sì.
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